Questo blog è stato aperto poco
più di due anni fa da tre volontari SVE che hanno vissuto qualche mese a
Caracoto: Silvia, Valeria e Yuri.
Io, Aurora, sono arrivata ormai
quasi un mese fa, più o meno nello stesso periodo in cui anche loro sono stati
catapultati nella realtà surandina. Il tempo di assestarmi, iniziare a lavorare
e via… Ecco che anche io sfrutterò questo mezzo per mettere nero su bianco
sensazioni, colori e sapori.
La mia avventura è iniziata il 21
aprile scorso quando, sola soletta, ho preso il mio primo volo transoceanico
alla volta della grande Lima. Queste le primissime impressioni, che ho buttato
giù dopo un’intensa giornata passata vagabondando per la città:
“Lima è una città immensa in cui regnano
odori forti e rumori incessanti. L’aria di mare si mischia allo smog, all’odore
di pesce fritto, al puzzo di piscio negli angoli delle strade più piccole.
Clacson, allarmi, grida.
Ho
camminato per circa 5 ore solamente per vedere alcune zone del barrio di
Miraflores, quello in cui vivo. Tanta, tantissima gente ha incrociato il mio
percorso. O, forse, sarebbe meglio dire che io ho incrociato il loro. Mi
passavano affianco come in un formicaio in cui ogni insetto fa il suo, senza
curarsi degli altri. Se mi fermavano, era solo per una firma o per vendermi
qualcosa. Per la prima volta nella mia vita, mi è stato chiesto se volevo che
mi venissero lucidate le scarpe. L’uomo che si è offerto l’avrebbe fatto per
pochi soles.
Ricordo
quando, da piccola, una volta mi capitò di guardare un documentario su Cuba.
Non sono mai stata a L’Avana, eppure Lima mi ricorda tantissimo le immagini che
vidi e che sono tuttora impresse nella mia mente. Strade piccole, casette ben tenute
e colorate affianco a baracche semidistrutte. Il mercato indio coi suoi mille
colori. I piccoli combis (mini taxi privati), il cui conducente urla fuori dal
finestrino quale sarà il suo tragitto. E, infine, l’oceano.
Passando
per una viuzza, mi è capitato di dirmi che tutto, qui, mi rimanda all’America
Latina. Bene, eccoci.”
A Lima sono rimasta 4 giorni,
pochi per capire e vivere sul serio quell’agglomerato infinito di volti e
macchine, eppure necessari per iniziare ad avvertire il bisogno di aria pulita
e di… Ande! Ho raggiunto Juliaca con una voglia immensa, non sapevo bene di
cosa, ma di certo la voglia era tanta. All’aeroporto ho visto il primo viso
amico dopo giorni di solitudine: Rosio, direttrice del Comedor, mi aspettava
con un grande abbraccio. Quello era il fine settimana della Feria Agrogastronomica di Caracoto, che
purtroppo io mi sono persa – un po’ per il viaggio, un po’ per il bisogno di
silenzio che sentivo forte dentro di me. Ho camminato a lungo per il Cerro (i magnifici monti che circondano
Caracoto), prendendomi tempo per scrivere sul mio amato quaderno-compagno di
viaggio. Queste le parole del 25 aprile:
"Oggi in Italia è la Festa della Liberazione.
Un pensiero va a tutt* voi, amic* miei… Una parte di me vorrebbe essere lì a
cantare Bella Ciao sotto il sole primaverile, parlando delle lotte partigiane
(anche di quelle femminili) e delle lotte resistenti quotidiane.
Un’altra, però, sa che sta per iniziare la
mia lotta qui. Che poi, in realtà, tanto “mia” non è. In questi giorni, in
questi mesi, appoggerò e cercherò di supportare la lotta del pueblo surandino:
contro l’esclusione sociale, la denutrizione, la malnutrizione e
l’analfabetismo. Per una società più equa in cui non esistano sfruttator* e
sfruttat*.
Ora che me ne sono andata, forse posso
guardare a Lima con un occhio più oggettivo. O forse no. Lima del alma mía, che
ti ruba il cuore e non te lo restituisce più. Città incantata ed ammaliatrice
in una terra crudele, ma affasciante.
E’ vero, quattro giorni sono pochi per poter
conoscere bene una realtà immensa come quella limeña, eppure il fatto di aver
vagato per la città da sola credo mi abbia aiutato a vivermela più
intensamente. Ho capito che il distrito in cui stavo, Miraflores, altro non è
che la vetrina della città, creatasi col tempo per accogliere i/le turist* e le
famiglie della classe medio-altra peruana. Tutto splendido, certo: l’oceano, i
reperti archeologici preincaici, Parque Kennedy. Le casette così ben tenute,
gli ostelli della gioventù.
Eppure, ti basta prendere una strada
secondaria per accorgerti che le cose non stanno proprio così. Esattamente come
è successo a me quando, una sera, mi sono trovata di fronte ad un ragazzino che
stava rovistando nella spazzatura. Come mi sono sentita europea in quel
momento, un’europea privilegiata per giunta! Mi era già capitato di assistere a
scene simili in Europa, ma solo allora mi sono accorta di quanto il nostro
mondo sia diverso. Per quanto anche da noi stia andando tutto a rotoli, io
ancora non avevo assistito a tali contraddizioni. Lima è una contrasto costante
sotto gli occhi di tutt*: di chi ci vive, di chi la visita, di chi la governa.
Ieri pomeriggio mi sono presa del tempo e
sono andata in centro. Esattamente
come in altre parti del mondo, anche il centro di Lima è una zona molto bella e
piena di attrattive, ma piuttosto degradata. La miseria che Miraflores
nasconde, Lima centro la amplifica – fino ad arrivare ai quartieri popolari, dove
raggiunge il suo apice. Vagando per le stradine del centro, sola coi miei
pensieri, ho avuto modo di osservare e riflettere tanto. Ho visto molta gente
per strada… Ai/alle peraun* bisogna riconoscere la capacità di sapersi
inventare i lavori più disparati per tirare avanti: chi vende aglio, chi
argenteria, chi lustra le scarpe, chi trasforma la propria auto in un taxi. Ci
sono perfino persone appostate davanti alle banche per cambiare euro e dollari
in soles a tassi di cambio più convenienti. Quello che ho notato, però, è che
la gente costretta ad crearsi un mestiere dal nulla ha per lo più tratti
somatici indios e pelle piuttosto scura. Quell* con cui ho parlato arrivano per
lo più dalla selva, ma so che molt* scendono anche dall’altipiano in cerca di
un futuro migliore. Alcun* sono migranti di seconda generazione, spesso a causa
della guerra civile degli anni ’80 e ’90. Le maggiori vittime delle lotte tra i
terroristi di Sendero Luminoso e i soldati convenzionali, infatti, furono i
campesinos delle montagne e delle zone di provincia, trucidati senza pietà da
una fazione o dall’altra.
Lima, che
cresci lasciando dietro di te milioni di mineros, campesinos, indios di tutto
il paese. Che porti avanti un’idea di progresso disumano a discapito di questa
gente, sfruttandola, spremendola fino all’osso e poi gettandola. Mi hai dato
tanto in pochi giorni, ma non riesco a perdonarti il volto crudele che mi hai
mostrato. Ho sofferto nel vedere come i/le tuo* abitanti affrontano la
quotidianità, come siano spesso indifferenti gli uni nei confronti delle altre.
Adesso è ora
di metabolizzare ciò che ho visto e vissuto, e da lì ripartire. Riparto proprio
da te e dalla tua crudeltà, Lima, per iniziare questo percorso di lotta personale
e solidale che è per me Caracoto.”
Bene, da quel giorno, un mese è
passato in un attimo, senza che realmente ne prendessi coscienza. Le cose da
fare qui sono state talmente tante, che non sono riuscita nemmeno a fare la
turista, se non visitando un po’ i dintorni, l’anniversario di Caracoto e la
festa dei desideri di Puno. E’ che il mio arrivo è coinciso con un avvenimento
molto doloroso per la comunità: Padre Manuel, parroco del pueblo che ha fortemente impulsato la nascita dei progetti dall’Asociación Civil Giordano Liva (Comedor
Estudiantil e Centro Educativo), è venuto a mancare proprio il giorno in cui io
sono atterrata a Lima. Amato e rispettato per la persona che era, e non per la
carica che rivestiva, la sua morte ha lasciato un grande vuoto nel cuore di
tutt*.
Con alcune riflessioni di questi
ultimi giorni chiudo quest’ultimo articolo, promettendo che il prossimo verrà a
breve e che non sarà così lungo :D
“Dopo aver passato un po’ di tempo a
Caracoto, forse posso scrivere con maggiore cognizione di causa – o forse no…
Tutte le emozioni, sentimenti e sensazioni che ho provato e provo si trovano sparsi
per la mente, in un quaderno compagno di viaggio e fogli a caso…
Sono stati giorni intensi, e so che
continueranno ad esserlo. Qui la realtà è complicata, quasi impossibile: le
città che ho visitato sono un caos, un’accozzaglia di incredibili paradossi; i
paesini, invece, un nulla tra le montagne. Le montagne… La loro bellezza
mozzafiato (nel vero senso della parola, vista l’altitudine :D) si perde in
mezzo ad altrettante montagne-spazzatura che costellano Caracoto. Così come
succede agli abitanti di tutto il Perù: tanto potenziale sociale ed umano si
confonde in mezzo a povertà, violenza domestica, alcolismo…
Ed io… Anche io mi perdo. Vago indifesa ed
incuriosita per le strade di questo paesino a 4000 metri sopra al mare,
incapace di dare un senso a tutto quello che mi sta succedendo qui. Il lavoro,
le responsabilità, lo stress misto alla lentezza di questo posto, i sorrisi e
gli abbracci dei bambini… Tutto mi si confonde nella testa. E, allora, l’unica
cosa che mi resta da fare è sperare che un meraviglioso cielo azzurro faccia
sparire ogni preoccupazione, ogni angoscia, ogni nuvola. E che faccia capolino,
speranzoso, il timido sole del domani. Che mi sorride come fanno i/le bambin*, regalandomi attimi di pura
gioia con le loro faccine sdentate.”
Aurora